CRONACA DELLA MIA “DOCCIA AFRICANA”
Il mio secondo racconto sul mio vagabondaggio per i cieli
Due anni e mezzo dopo la mia prima volta, non avrei mai pensato che avrei potuto avere un'altra opportunità di fare un'esperienza altrettanto importante per volare ben oltre ciò che già conoscevo, eppure eccoci qui. Tutto è cominciato pochi giorni dopo che una cugina di mio padre (una zia, direi) mi chiese di gestire il blog del sito della sua onlus “O Viveiro Roma”, con la stessa persona che mi chiese se mi sarebbe piaciuto accompagnarla in Mozambico per quasi due settimane per vedere in prima persona il luogo, e l'attività che l'organizzazione svolge, proposta alla quale ho prontamente acconsentito, poiché è incredibilmente raro che capiti un'occasione del genere, sia per quanto riguarda visitare un intero nuovo continente, sia per vedere con i tuoi occhi una cultura completamente diversa. Quindi eccomi qui, ad imparare alcune parole di portoghese (fortunatamente molte di esse sono simili alla loro traduzione spagnola/italiana) e preparare tutti i documenti necessari. Fin dai primi giorni trascorsi qui, era chiaro come il Sole quanto tutto ciò fosse estraneo alla mia (e a quella di tutte le persone che non sono mai venute in questa parte del mondo) esperienza di vita; una vita semplice che, nonostante l'estrema povertà e l'asprezza del clima, si basa sulla loro fede, le attività comunitarie (spesso accompagnate da musica) e un sorriso smagliante sul volto (sia la gente del posto che coloro che si sono trasferiti qui per le ragioni più varie), anche se quest'ultima era comprensibilmente più rara sugli adulti, grazie alla visione stanca che abbiamo del mondo dopo aver visto come gira realmente). Essere qui, non avendo molto da fare se non scrivere questo rapporto e giocare con il mio cellulare, mi ha dato molto tempo per pensare a chi e cosa mi mancava a casa, come la mia famiglia, i miei amici e le comodità che ci aiutano e dominano il nostro stile di vita , dato che Flaminia, dopo qualche giorno, quando mi ha chiesto cosa ne pensassi di questo “Bagno d'Africa”, io l'ho corretta dicendo che era più una “doccia africana”, per la repentinità del tutto.
In conclusione, ci sono due cose che vorrei dire. Innanzitutto, vorrei essere grato a Lúcia e Tomé che hanno accettato di far vivere un'altra persona nella loro casa; ad Amina, la cuoca che ogni giorno presentava il meglio di sé sulla tavola, ad Edoardo, un uomo simpatico e competente con cui ho avuto il piacere di viaggiare, a tutte le persone che ho incontrato e di cui non ricordo il nome, ed infine Flaminia, la persona che ha reso possibile tutto ciò; e secondo, che mai dimenticherò questa esperienza.
Grazie.
Gianluca Giovanelli Eder